Renato Vallanzasca, l'irriverente, il guascone, il tombeur de femmes, il re delle fughe è stato il protagonista indiscusso di quella «esplosio-ne» di bande criminali che negli anni Settanta sconvolse una Milano già martoriata dal terrorismo. Oggi gli attori di quella stagione feroce sono morti, pentiti, o hanno scontato la loro pena.
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Tutti tranne l'ex boss della Comasina, che solo nel marzo del 2010 ha ottenuto dì poter lavorare fuori dal carcere in un laboratorio di pelletteria. A sessantanni, di cui trentanove trascorsi dietro le sbarre, il bel Rene appare ormai lontano dal personaggio spavaldo e sanguinario diventato una leggenda, eppure continua a far parlare di sé come se il tempo non fosse mai passato. La letteratura su di lui non accenna a esaurirsi, e dopo i libri è arrivato M cinema. Perché la sua fama è tanto tenace? Forse perché Vallanzasca, pur avendo riconosciuto pubblicamente le proprie colpe e il male fatto, pur dedicandosi da tempo a persuadere i giovani «a rischio» a non inseguire modelli distruttivi, non ha mai usato la parola pentimento. Lui, che ha sempre scelto l'esibizionismo, in proposito confessa: «Anche se solo uno fra i tanti che mi ascolteranno dovesse avanzare il dubbio che il mio è opportunismo non locsopporterei, il pentimento, e an-cor più il perdono, hanno a che fare con la sfera intima».
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