L'assunto da cui si sviluppa la riflessione di Teus van Dijk è l'innegabile carattere razzista di tutte le società occidentali. Un razzismo che trova fondamento nella difesa e nella riproduzione di rapporti di potere favorevoli alla popolazione bianca e, in particolare, al gruppo dominante bianco.
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È in questa prospettiva che l'autore sottolinea innanzitutto il ruolo svolto dalle élites (politiche, economiche, sociali, culturali) nella costituzione e riproduzione di elementi di razzismo. Sono le risorse di cui esse dispongono, in particolare la capacità di controllo sul sistema delle comunicazioni di massa e, di conseguenza, sul costituirsi del "discorso pubblico", che consentono loro una "preformulazione del razzismo", di diffondere i principali pregiudizi, le categorie di valutazione, gli stereotipi concernenti le diverse minoranze etniche. Una dinamica che non è necessariamente sostenuta da un'azione consapevole, e in ciò stanno anche le maggiori difficoltà a opporvisi, al diffondersi di una coscienza antirazzista. Il libro offre quindi una stringente analisi dei meccanismi di traduzione del pregiudizio dominante in un'ideologia razzista, conservando però al centro dell'attenzione - ed è questa l'indicazione più originale sul piano teorico e della ricerca empirica - non tanto ciò che gli individui fanno, quanto ciò che gli individui dicono. È infatti nell'interazione quotidiana, nella banalità del discorso comune, nel processo sociale che struttura il quadro cognitivo degli individui, che vengono rintracciati i principali veicoli della diffusione e della vasta legittimazione degli elementi di razzismo presenti nelle nostre società in termini funzionali alla conservazione dei rapporti di potere vigenti. (Recensione di G. Buso, in L'indice dei libri del mese 1995 n. 4)