Hannes Meyer è ricordato nei "manuali" di storia dell'architettura soprattutto per la direzione del Bauhaus (1928-30) e per i due progetti di concorso elaborati nel 1926 con Hans Wittwer: per la Petersschule di Basilea e per la sede della Società delle Nazioni a Ginevra.
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Il resto della sua opera, ed in particolare quanto prodotto dopo l'allontanamento da Dessau, è stato per lungo tempo trascurato. L'adesione al marxismo ha sicuramente influito negativamente sull'andamento della sua carriera e sulla fortuna storiografica della sua opera. Tuttavia, pur avendo potuto realizzare pochi dei progetti elaborati nel corso dei suoi soggiorni in Germania, in Unione Sovietica, in Svizzera ed in Messico, la sua influenza sul corso della disciplina architettonica non è stata però minore di quella di altri "maestri". Tra le possibili declinazioni del "moderno", quella di Meyer corrisponde al tentativo di superare l'esperienza del Neues Bauen con rara onestà intellettuale, in grado di farne, in ambito disciplinare, una delle più importanti figure della prima metà del Novecento.
Attraverso documentazione in parte inedita, il libro propone una rilettura degli ultimi ventiquattro anni di vita dell'architetto di Basilea, in cui il rigore funzionalista degli anni Venti riesce a conciliarsi con istanze regionaliste dovute al contatto con culture e contesti sociali differenti. Ne emerge il ritratto di un uomo che ha vissuto eventi cruciali della storia recente, nella convinzione di dover contribuire con le proprie competenze ad un progresso sociale considerato irrinunciabile; il suo impegno e la sua passione, come il senso d'inadeguatezza e la graduale marginalità, non sono solo quelle dell'architetto, ma sono proprie dell'intellettuale contemporaneo.